Le due investigazioni – L’errore nell’applicazione del metodo al problema intellettuale – L’intelligenza relativa del dolore – L’intelligenza della vita e della morte.

 

          Maritare i due serpenti, l’invisibile, che traduce il senso dell’Ermete nella sua integrazione, al visibile che procede dalla ricerca profana per la conquista della sapienza umana, è opera formidabile che assume l’aspetto nebuloso e vago dell’utopia.

         Non rivelo un secreto antico, espongo un programma di ricerche e dissipo le nuvole a cirri che nascondono la semplicità della formola.

         La ricerca della verità ermetica in noi ci avvicina alla conoscenza del mistero della vita – penetrarlo è possedere l’intelligenza ermetica. L’altra ricerca esperimentale, oggettiva, è la conquista per una scienza umana del mutamento delle forme e della conoscenza delle fasi vitali. L’interstizio è il regno mitico della divinità.

         L’integrazione è iniziazione nel senso positivo e non mistico.

         Il misticismo cammina per fede e per idee seducenti nella visione della conquista fuori il creato.

         L’ermetismo è determinativo nella ricerca dell’aurum, una possanza trasformativa dell’inferiore nell’altissimo per raggiungere il limite più sublime del mistero della vita dell’unità cosmica.

          Mi son servito di un nome alchimico: aurum.

          Seguo per questa via classica della ricerca e dell’occultazione del senso spirituale iniziatico.

          La scienza sperimentale procede dai più bassi strati della manifestazione dell’umana sensibilità – la medicina naviga nelle analisi specifiche – sperimenta l’animalità, osserva il succedersi delle forme dalle embrionarie fetali alle dissolutive della morte – ed è un bene. Abborda il problema della sensibilità e dell’intelligenza del piacere e del dolore fisiologico – ed è un errore.

          Nel primo stadio è un bene perché disamina il cadavere delle cose evolute e ne rileva i mezzi, i metodi, le leggi. Nel secondo è un male perché con gli stessi procedimenti inferiori si adopera alla conquista della arte suprema della personalità umana che è intelligenza la quale è unità dell’organismo universale – l’intelligenza che è la sintesi di una vita animale e di tutta  la vita universale – l’intelligenza che, come fiamma di vita, è l’arcano delle antiche scuole magiche e il mistero della ricerca dell’uomo (5). (Dal resoconto del Giornale d’Italia del 5 novembre, leggo la conclusione del discorso inaugurale dell’università di Roma di questo anno, fatta dal professore Mingazzini, neurologo valorosissimo. Egli dice dopo aver parlato del cervello umano:

         “Da questa compendiosa sintesi, discende legittimo il corollario, che il cervello ubbidisce alle stesse ed identiche leggi le quali reggono il resto dell’epoca animale: e che i fenomeni mentali sono legati a processi biosofici e biochimici, svolgentisi nel cervello: per esso natura creò privilegi!

          “Ma un’altra conclusione pur troppo ingrata ne discende, e cioè, che malgrado tanti progressi inaspettati sulla conoscenza della struttura del meccanismo e delle funzioni dell’encefalo essi ci hanno negato per ora, qualsiasi lume per comprendere in che modo abbiano origine e si svolgano i processi della psiche.

           “A molti degli ascoltatori che si attendono un peana, la scienza risponde adunque con una elegia. Dopo si numerose ricerche, per quanto feconde agli studii medici, altrettanto sterili per il postulato filosofico, il pensiero si rivolge ad Emmanuele Kant. Egli ci ha insegnato che i fenomeni soltanto, e non la essenza delle cose in sé, riescono ad essere afferrati dalla nostra mente. E appunto in nome di Kant, poiché altra cosa è conoscere le condizioni di un fenomeno, altro è il fenomeno stesso, a noi è vietato, giusto il precetto degli scolastici, trarre conclusioni aventi la bocca più larga delle premesse.

          “Se dobbiamo ripetere ancora una volta con Pascal pericolo sum est creder e non credere è ingiusta pretesa sottrarre all’uomo il diritto di trarre da altre fonti ipotetiche nel problema cui la filosofia intende da si lungo volgere dei secoli.

          “Noi dobbiamo uguale rispetto tanto a coloro che, monisti convinti, credono pensiero e materia la cosa stessa, quanto agli altri che cercano al di fuori del mondo corporeo la causa dei fenomeni spirituali. È crudeltà combattere sentimenti, sia pure illusori, che dalla scienza anche l’uomo di scienza invoca spesso, mai indarno al suo conforto.

          “Questi misteri vitali, pari a quelli dell’eredità, e della natura delle forze, non solo abbracciano i fenomeno della vita mentale, ma persino quelli della vita fisica. Da qualche anno siamo abituati a parlare di esseri patogeni ultramicroscopici, cioè di agenti veri e propri di malattie, e che neanche coi 2000 diametri di ingrandimento riusciamo a scoprire; eppure per ipotesi li ammettiamo.

          “Quella che un biologo olandese di altro secolo chiamò natura naturans si sottrae adunque a qualunque nostra indagine: ci pare sempre di raggiungerla, e intanto ci si invola. Il velo dell’Iside non è ancora squarciato perché il comprensibile – e dobbiamo essere riconoscenti ad Erberto Spencer – ai suoi limiti.

          “Comprendere la sfera dell’incomprensibile – ed io aggiungo dell’ultravisibile – è inutile e vano conato”.

          Mi consolo che l’università romana abbia ascoltata una conferenza simile e non mi stupisco delle conclusioni fortemente accentuate nel senso dubitativo dell’illustre oratore, perché tutti i neurologi trovandosi a contatto del cervello umano, e nella sala anatomica o vivente negli organismi vivi, devono arrestarsi nel limite della comprensibilità quando i fenomeni psichici si manifestano in noi e fuor di noi. L’anatomia del cervello non ha conchiuso con alcuna scoperta essenziale intorno alal manifestazione dei fenomeni di un ordine intelligente. Lo stesso oratore disse:

          “Tutti i fenomeni mentali accessibili a misure sono stati sottoposti ad un’analisi metodica. Con speciali saggi o strumenti dedicati, si misura il grado di attenzione, la prontezza del comprendere, la capacità dell’immaginazione, la robustezza della memoria, la potenza della critica. L’uomo tende a diventare, secondo l’ideale del pensatore greco, il metro di tutte le cose. alla psicofisica siamo grati per averci insegnato che la velocità del movimento attraverso i nervi, è meno rapida del volo dell’aquila e che ad ogni nostra operazione intellettuale e ad ogni insorgere di affetti corrisponde una modificazione apprezzabile nella circolazione sanguigna e nella temperatura del cervello. Il tumulto dei nostri sentimento, le scariche dell’odio a pari del raptus d’amore, il momento in cui l’attenzione e la riflessione chiamano a raccolta per risolvere un problema, le loro forze, il sonno e la veglia, tutti questi atti si convertono senon in vari equivalenti tecnici e chimici, certo in variazioni apprezzabili di calore all’interno della massa cerebrale. Anche negli affetti adunque sebbene si traducano in modificazioni fisiche, sono legati all’organo della mente; e se nell’emozioni palpita il cuore gli è soltanto perché si modifica il lavorio cerebrale.

          “L’amore adunque – se lo ricordino i giovani che qui mi ascoltano – è qualche cosa di più alto che non il semplice e fugace contatto fra due epiteli”.

          Dopo aver accennato allo sforzo compiuto dai filosofi per scoprire il modo di formarsi dei fenomeni psichici, sforzi rimasti inutili, l’oratore continua:

           “Alcuni sperarono invano che qualche sprazzo di luce provenisse dallo studio delle alterazioni del cervello che da tempo la psichiatria postulava. Ma il risultato di tante minute ricerche ci ha provato che nella grande maggioranza delle malattie mentali non si hanno reperti costanti, e  tali da poter mettere in rapporto le lesioni della compagine nervosa con le manifestazioni morbose della psiche. Noi non riusciamo a sorprendere che l’effetto finale delle alterazioni degli elementi nervosi e questi sono di una uniformità sorprendente. Ma anche quando l’ideale degli psichiatri si avverasse, e si riuscisse a constatare che, per esempio, ad ogni forma di manifestazione psicopatica corrispondesse un’alterazione di una struttura determinata od uno spostamento congenito delle cellule corticali, ciò non gioverebbe punto alla comprensione mentale.

          “Sicché oggi – dopo si abbondante messe di studi microscopici – la psichiatria è obbligata, raccogliendo le vele, a rientrare nel tempio dell’empirismo clinico. E come delle allucinazioni si sa poco più della definizione datane da Amleto, così per la paranoia, dobbiamo contentarci di richiamare sopra l’intuizione geniale della malattia che ne ebbe Shakespeare, quando il Re Lear fa dire: ho un delirio si, ma vi è dell’ordine in quel delirio!”.)

          Il dolore, il grande diavolo malvagio, spaventevole, orrido per i sensibili, esiste in rapporto alla centralità intellettiva dell’uomo che lo soffre. Lo storico, come Seneca, per discreditarlo ne limita il potere e dice: perché spaventartene, o uomo? Se arriva ad un punto che non potrailo più soffrire morrai o cessa. Perché dovresti tu spaventarti di esso se cessa o muori? Hai paura della morte? Le religioni di pietà, come il buddismo e il cristianesimo, o tentano di separarlo dall’unità organica estraendone l’intelligenza o lo bagnano di lagrime calde considerandolo come una espiazione. Ma questo non è conoscenza essenziale della sua natura che risponde prima ad una sensazione e poi ad un sentimento.

          Il divino della medicina non è nella guarigione anatomica che è jatréa, ma nella potestà ermetica della reazione mentale alla sensibilità del dolore, o meglio nella potestà imperativa dell’intelligenza sulla riconquista della sanità anatomica come ultima valorizzazione integrativa dell’essere vivente.

          - Che cosa è la vita?

          - Chi lo sa! Risponde il fisiologo non senza citarti mille opinioni e altrettante teorie – ma la manifestazione della vita a noi è nei soli rapporti dell’intelligenza che funziona unitaria nelle relazioni delle funzioni organiche. La morte è determinata dalla cessazione delle funzioni organiche: obbiettivamente un uomo è morto quando la circolazione è cessata e il corpo si disfà: soggettivamente il senso della separazione della non intelligenza è una morte. La reazione alla sensibilità è un fenomeno che confessa la vivacità dell’intelligenza, ma la sensibilità non reagente in fenomeno della periferia è confessione di morte apparente e molte volte non vere (6).

          Dunque il limite del mistero innanzi al progredire della investigazione analitica degli studii medici è  l’intelligenza umana, per la cui integrità la ricerca ermetica lavora in senso inverso, dall’alto in basso – è soggettivamente per entrare nei rapporti integrativi delle unità intelligenti umane o uomini.

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