ARIEL DOMINANTE
Chi riesce a dominare l’odio nell’amore
dei suoi nemici li domina inesorabilmente. Il trionfo dell’amore è nell’atto di
forza della sua giustizia, ed è invincibile nella sua potente affermazione.
Ariel come forza e spirito attrattivo di amore è prodigo di perdono.
Bismarck ha detto che il diritto è una sciocca invenzione dei deboli,
mentre non vi è altro diritto che la forza. In assoluto ha ragione.
Questa forza è diritto, perché il dio che non è giusto non è forte.
Si legga la favola del cagnolino che andò
per assalire un leone. Il leone dopo
essersi fatto mordere trovò che i denti della bestiolina non gli avevano
neanche torto un pelo. Allora disse al suo nemico; – vedi, io potrei ammazzarti mangiandoti; ti risparmio la vita perché sei
piccolo. Il cagnolino allora ritentò la prova, con eguale esito. Il leone
lasciò fare, e gli ridette il perdono. Ora la forza del leone lo rese generoso,
ma se il leone non fosse stato forte non avrebbe avuto la clemenza dei forti.
EPILOGO
E INVOCAZIONE AD ARIEL
O Ariel, raggio e potenza della forza di Giove, dopo che l’uomo,
microscopica particella nell’immensità dei mondi, ti ha conosciuto, la favilla
divina che era in lui, si è riaccesa nel suo primitivo splendore.
Dove sei? Chi ti invoca, ti vedrà? Chi ti
invoca, ti sentirà? Quale è il tuo viso, o spirito marziale sfolgorante di luce
e di fuoco? Quale è la tua voce nell’armonia delle cose visibili? Quale è il
tuo amore, quale la tua potenza?
Nelle civiltà orientali desti lo splendore e le magnificenze a Ninive, a
Babilonia, a Menfi; in Tracia Orfeo t’incantò; nella Grecia Giasone ti volle
conquistare, Ercole a vincere; nella latinità diventasti l’aquila della
sapienza e del dominio di Roma; nel mondo cristiano parlasti nella Croce della
verità.
Nel mondo tutti ti invocano, tutti ti adorano, perché di te non vedono
che il viso ammonio, cornuto, abbondante; non sanno che diventi provvidenza
attraverso la carità e che sei benefico nella gloria della giustizia.
Sii largo nel dare ai miei discepoli che ti chiamano nelle alte ore
silenti della notte, nelle camere da studio nelle cui scansie si accatastano i
volumi della umana sapienza. Comparisci loro in forma di gnomo o di rafo,
divampante o etereo, siedi sul cornicione di un quadro antico e parla al
neofito che vuol fare o sapere: digli la verità, la nuda verità: indi gli
sorriderai e gli lascerai il tempo di riflettere.
Tra le cose che gli dirai non
dimenticare di avvicinarlo così:
– Non vi è scienza senza silenzio, non vi è possanza senza carità, non
vi è forza senza giustizia. Io sono la VIRTÚ,
io sono il trasformatore e il fattore dei miracoli.
Non mi lego a te che con un patto di alleanza: tu mi dirai: IO SONO TUO
ORA E SEMPRE; me lo scriverai col tuo sangue, vi metterai in quelle stille di
sangue la tua anima imperfetta e aspetterai.
Io prima di accettare, ti spierò attentamente. Vedrò se hai tentato di
vendermi lupini per zaffiri, se la verità è in te, se la tua speranza è il tuo
amore e … se tutto è vero io verrò a te, ti darò la forza nella giustizia,
l’amore nella carità, la luce nella Scienza. Quando mi cercherai sarò vicino a
te, quando dormirai veglierò su di te, quando combatterai il male sarò per te.
Al discepolo intelligente, neofito in Magia, lo spirito del secolo non
tolga la vista acuta; il guardiano della soglia ruota la durlindana fatata,
digrigna i denti, scoppietta la lingua, fulmina con gli occhi potenti: ma il
discepolo passerà se saprà tacere, volere, amare.
Scienza è forza, è giustizia, è carità.
Scienza non è delirio, non febbre, non passione, non orgoglio, non ambizione,
non menzogna.
Il fulmine è una legge inesorabile come la forza nella giustizia e la
carità.
In questa scienza trovarono il sorriso innanzi alla morte i martiri dei
grandi ideali, e le felicità del mondo gli imperi sacerdotali.
Ricordati, o amico discepolo, di essere savio e sapermi leggere, perché io ho finito e altro a
dirti mi è vietato, perché troppo ho detto specialmente dove tu hai creduto che
io non abbia svelato l’arcano della magia dei grandi maghi, come ti avevo
promesso.
Tratto da: Kremmerz I edizioni «Universale di Roma» anno
1951.