LEO - ATTEGGIAMENTI
Nel precedente saggio «Barriere» abbiamo delineato alcuni mutamenti di visione che debbono diventare organici in noi. Certamente, occorre un lungo periodo di tempo per abbattere certe radicate condizioni che paralizzano ogni possibilità di realizzazione interiore. Noi ci sentiamo liberi nel pensiero e ci sembra di aver ottenuto un gran risultato quando esso è mutato rispetto a qualche pregiudizio tradizionale. Invece con ciò siamo solo al principio. Vi sono idee divenute parte organica di noi stessi, e al momento di tradurre in realtà il compito, l’ostacolo superato con la mente esiste ancora in noi e inibisce l’esperienza. Ci meravigliamo di non ottenere risultati perché ignoriamo che in noi stessi qualche cosa si è opposto. Se sappiamo tutto ciò, allora ci sarà possibile di prendere coscienza di questo dualismo fra semplice pensiero e costituzione interiore. Fra i pensieri legati al cervello e pensieri che vivono in essenza dentro di noi, radicati in altri organi. Abbiamo accennato al ritmo. Ebbene: allorché il cervello perde interesse al concetto conosciuto e ripetuto e lo lascia libero, allora comincia la possibilità della discesa in noi del concetto stesso.
Esso diverrà in noi una forza reale.
Quello che abbiamo detto a proposito dei mutamenti di visione e del nuovo concetto – infinito – di sé e del mondo che, ritmatizzati, divengono un nuovo senso di noi stessi e del mondo stesso, dobbiamo ripeterlo a proposito di alcuni attitudini da evocare e coltivare, che sono condizione indispensabile dello sviluppo: esse non debbono restare alla superficie della nostra coscienza – non basta pensarle e neanche praticale: debbono invece sprofondarsi nella radice del nostro essere integralmente inteso.
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Una di queste attitudini si può chiamare il senso dell’aria.
Noi possiamo vivere nell’immaginazione l’elemento « aria », che tutto penetra e vivifica, ed anche la sua mutevolezza, la sua silenziosa presenza, tutte le gradazioni del moto, dallo sfioramento sottile, insensibile, alla forza, all’impeto, alla violenza. Noi lo sentiamo infinitamente libero, senza radice, senza origini, senza causa, pronto alle variazioni più estreme in un batter d’occhio. Dopo che la nostra immaginazione, impadronitasi di questo senso, l’avrà sentito e vissuto – occorre trasfonderlo in noi, farne uno stato della nostra stessa coscienza da mantenere di fronte alle esperienze col mondo esterno.
Questa, come le altre forme di imaginazione di cui si faccia un uso iniziatico, deve essere trasportata dal centro della testa verso il «cuore»: è qui che l’imagine può trasformarsi in uno stato interno, divenire una qualità affine, un potere analogo. Ciò che abbiamo chiamato il «senso dell’aria» diviene allora un senso profondo di libertà di fronte a quanto vi è in noi di ereditario e di automaticamente acquisito. E’ un liberarsi dalle catene delle reazioni istintive, delle reazioni sproporzionate o deformi – è una elasticità che permette di far sorgere accanto al massimo riposo o raccoglimento il massimo dispiegamento di forza attiva. E’ il sentirsi spregiudicati e pronti a ricevere conoscenze e d esperienze sulla vera luce che è loro propria – senza le deformazioni istintive e affettive. Possedere tutte le forze del passato, ma poter anche rinascere ad ogni momento con un senso di esser nuovo.
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Un’altra attitudine imaginativa è quella che si può chiamare il senso del fuoco o senso del calore. Essa consiste nell’avere l’imagine del godimento benefico del calore, sentendosi penetrati e vivificati da esso – come di vita feconda in noi e fuori di noi – presente e perenne come la luce solare. Sentire in noi questo calore come cosa nostra, come se il sole fosse in noi, radiante.
Questa imagine si porterà spontaneamente nel « cuore » - essa troverà direttamente la via ai centri sottili del cuore, poiché non è possibile sentirla intensamente e pur mantenerla nel cervello.
Questo centro-calore che si desta in noi dovrà essere sempre presente nella nostra esperienza interiore, come emozione attiva contrapposta alle emozioni riflesse e passive provocate da cause esteriori.
Non è possibile un risveglio gelido e puramente cerebrale. Tutte le regole e gli indirizzi di educazione iniziatica non daranno frutti senza questo senso del fuoco risvegliato dal cuore. E’ per questo che gli uomini nel passato hanno tentata la via della devozione – ma questa era proprio inquinata da pregiudizi e da emozioni passive e non poteva dare la conoscenza. Scendendo nel cuore gli uomini perdevano il senso dell’Io per disperdersi nel sensitivo-sentimentale.
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E’facile sottovalutare le pratiche che fanno uso di imagini sembrando esse povere cose di fronte alle grandi promesse delle scienze esoteriche. Ma l’esperienza di chi ha tentato e percorso vie diverse perdendo tempo ed energie mi spinge a far risparmiare ai nuovi venuti errori che lasciano lungamente la loro impronta e deformano l’armonia del nostro essere. Gli accenni di pratiche ora esposti ci abitueranno a vivere intensamente nei movimenti interiori astraendo dalle impressioni sensorie e pur con tutta la vivezza e la realtà propria a queste ultime. Avremo così uno spontaneo sviluppo di quei poteri sottili, che agiranno nella visione superiore.
Sarà pure necessario prepararsi a ciò che dovremo vedere e conoscere anticipando la conoscenza con una visione mentale chiara di quello che ci attende. Supponiamo una impossibilità: un uomo vissuto per tutta la sua vita in una cella buia, senza contatti umani, senza luce e senza suoni, che d’un tratto fosse gettato fuori, in mezzo al mondo. Quel che avverrebbe di lui sarebbe terribile. Eppure tale è la condizione di colui che, avendo vissuto nella stretta prigione dei sensi, d’un tratto sentisse schiudersi la visione spirituale.
Dato anche che potesse superare il senso di smarrimento e di terrore, egli saprebbe di vedere, ma non saprebbe dire che cosa vede e tanto meno sapere come vede. E ciò che gli uomini cercano non è tanto qualche potente condizione estatica, quanto invece la coscienza e la conoscenza del mondo spirituale in sé e fuori di sé.
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